domenica 2 gennaio 2022

Muore Albino, l’ultimo cavallo sopravvissuto alla carica di Isbuscenskij

Nel 1960 era ancora vivo il ricordo della Seconda Guerra Mondiale e di numerosi atti eroici compiuti dai nostri soldati. La carica del Savoia Cavalleria contro i carri armati Russi, considerata l’ultima romantica carica del glorioso reggimento, ebbe un successo insperato. La sera del 24 agosto 1942 nella steppa russa 650 cavalieri si scontrarono e tennero testa a 2000 soldati russi.

Albino, il cavallo del Sergente Maggiore Giuseppe Fantini, sopravvisse dopo varie vicissitudini, fino al 21 ottobre 1960 quando ormai, raggiunti i 25 anni, mori di vecchiaia a Merano in un box tappezzato con le foto del suo Sergente. Era diventato un beniamino di tanti bambini che gli scrivevano lettera da ogni parte d’Italia. “La malattia di Albino rappresentava per tutti una pena nella pena, quasi un accanimento della sorte. La povera bestia non dava segno di soffrire; anzi come si conveniva a un cavallo da guerra, teneva un atteggiamento dignitoso..” così racconta Lucio Lami nel libro “Isbuscenskji l’ultima carica” ed. Mursia. 

A fine agosto, durante le prove della festa del Reggimento fece un’ultima sgroppata. Sentito il suono della carica fu colto da un improvviso fremito piantando in asso in giovane cavaliere che lo cavalcava. 

Il giornalista senese Michele Taddei gli dedica pure un libro “Steppa Bianca. Memorie di Albini cavallo di guerra” edito da Cantagalli Editore. 

“Albino era un maremmano nato nel 1932 che, ancora puledro, era stato requisito dall’esercito per essere domato e poi arruolato nel glorioso Reggimento «Savoia Cavalleria» e inquadrato del 2° squadrone. Il Reggimento partecipò con l’Armir alla campagna di Russi, combattendo anche a Isbuscenskij nell’ansa del Don dove la carica degli squadroni è diventata leggendaria.

Il 24 agosto del 1942 il «Savoia Cavalleria» affrontò la ultima carica della storia delle cavalleria italiana : seicento uomini con i loro cavalli riuscirono a disperdere i duemila soldati dell’Armata Rossa. Albino fu ferito a un occhio e a una zampa; non venne abbattuto per rispetto verso il suo eroismo e fu fatto rientrare in Italia. Non più abile al servizio militare, fu ceduto ad un privato. Durante una fiera, alcuni anni dopo, fu riconosciuto da un sottufficiale del «Savoia Cavalleria» , perchè Albino era senza un occhio e aveva una lunga cicatrice sullo stinco destro. L’esercitò lo riacquistò e Albino divenne in breve il simbolo stesso dell’eroismo e del sacrificio del Reggimento e dell’intero esercito italiano e venne istintivamente definito «il cavallo d’Italia».

Il Ministero gli assegnò una pensione che gli consentì di essere mantenuto in una scuderia dell’esercito a Merano fino alla sua morte che avvenne il 21 ottobre del 1960. Aveva 28 anni. La carcassa di Albino fu imbalsamata e ha oggi un posto d’onore nell’androne principale del Reggimento «Savoia Cavalleria» che ha sede a Grosseto. Durante l’anno gli fanno visita le scolaresche e la sua storia viene raccontata come un bellissimo episodio di simbiosi tra Uomini ed animali “con le stellette”, coraggiosi e fedeli”. 


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