lunedì 31 gennaio 2022

Chi vinse Sanremo nel 1960?

Chi vinse Sanremo nel 1960 fu l’insolita coppia Tony Dallara e Renato Rascel con Romantica. Il Festival si tenne dal 28 al 30 gennaio e andò in onda in Tv e in Radio dalle 22.00. Tony era soprannominato l’urlatore ed era reduce dal successo internazionale di Come prima, mentre Rascel artista poliedrico, aveva scritto qualche anno prima un altro successo internazionale Arrivederci Roma. Romantica vince a mani basse ottenendo 186 voti rispetto agli 84 di Libero del duo Modugno - Teddy Reno. Il festival venne presentato da Paolo Ferrari e Enza Sampò, prima donna ad affiancare il conduttore. 

I cantanti erano un mix di personaggi famosi, da Domenico Modugno (il favorito) a Gino Latilla, da Giorgio Consolini a Nilla Pizzi e di esordienti tra cui i due vincitori e quella che sarebbe diventata poi la grande Mina, all’epoca diciannovenne, ma famosa per un primo posto nella hit parade.

Erano i tempi della guerra fredda ma Sanremo era uno dei pochi eventi musicali che travalicava le frontiere ed era conosciuto e seguito persino in Russia, una benedizione per le case discografiche che facevano a gara nel spingere i vari cantanti. La giuria, anzi le giurie, perché erano due le giurie: la prima formata da 189 spettatori del Casinò estratti a sorte e l’altra di 200 persone, ovvero 10 abbonati per 20 città scelti rigorosamente da un notaio. 

giovedì 27 gennaio 2022

Ma dove si trova Squaw Valley?

Squaw Valley è in California a 2.000 metri sulla Sierra Nevada! Può sembrare strano ma a Squaw Valley si tennero gli VIII Giochi Olimpici Invernali dal 18 al 28 febbraio 1960. La località californiana batte Innsbruck e Saint Moritz. Al Presidente del Comitato Organizzatore, il ricco avvocato Alexander Cushing,  questo successo gli valse la copertina del Time nel 1959. I paesi partecipanti furono solo 30 con 665 atleti. Germania Est e Germania Ovest si presentarono insieme così come già fatto due Dante le Olimpiade estive nel 1956 a Melbourne.  E l’Italia? In effetti fu l’Olimpiade in cui vinse il numero più basso di medaglie: soltanto un bronzo nello slalom gigante femminile con Giuliana Minuzzo Chenal, un’atleta vicentina ma cresciuta in Valle D’Aosta e madre di due bambine. I giochi furono inaugurati da Richard Nixon, allora Vice Presidente degli Stati Uniti, mentre la cerimonia di apertura fu curata da Walt Disney. Per Nixon era uno dei passaggio della sua campagna elettorale in vista delle elezioni di novembre dove si sarebbe scontrato - uscendo sconfitto - con John Kennedy.

Cosa ricordare di questa edizione? È stata l’unica volta in cui il bob non è stato incluso nel programma delle gare perché con solo nove Paesi che si erano iscritti alla gara, il Comitato Organizzatore si era rifiutato di costruire la pista. Uno smacco per il nostro Eugenio Monti soprannominato Il Rosso Volante , vincitore 4 anni prima a Cortina e candidato alla vittoria. La discesa libera fu vinta dal francese Jean Vaurnet, che negli Anna Settanta insieme a Mario Cotelli diede il via alla Valanga Azzurra con i vari Gustav Thoeni e Pierino Gros. 

Poi nacque l’istant replay una sorta di moviola per rivedere le gara. Ai giudici di gara non era chiaro se una slalomista avesse saltato una porta e così chiesero alla rete CBS-TV la cassetta della discesa per visionare con attenzione il passaggio in discussione.


domenica 9 gennaio 2022

Lumumba torna in Congo

 Da Sette del Corriere della Sera del 7 gennaio 2022.

Sabato 8 gennaio

“A Bruxelles si tiene la cerimonia con cui verrà ufficializzata la restituzione alla sua famiglia in Congo delle reliquie di Patrice Lumumba, leader indipendentista congolese ucciso 60 anni fa e sciolto nell’acido. L’ex potenza coloniale restituirà quel poco che è rimasto: un dente del primo leader eletto nella Repubblica democratica del Congo, arrestato del dicembre 1960 e giustiziato a gennaio all’età di 35 anni, per volontà del generale golpista Mobuto (con la compiacenza del governo belga). La restituzione del dente di Lumumba viene letta come una possibile ammissione degli errori del Belgio durante l'epoca coloniale”.


domenica 2 gennaio 2022

Muore Albino, l’ultimo cavallo sopravvissuto alla carica di Isbuscenskij

Nel 1960 era ancora vivo il ricordo della Seconda Guerra Mondiale e di numerosi atti eroici compiuti dai nostri soldati. La carica del Savoia Cavalleria contro i carri armati Russi, considerata l’ultima romantica carica del glorioso reggimento, ebbe un successo insperato. La sera del 24 agosto 1942 nella steppa russa 650 cavalieri si scontrarono e tennero testa a 2000 soldati russi.

Albino, il cavallo del Sergente Maggiore Giuseppe Fantini, sopravvisse dopo varie vicissitudini, fino al 21 ottobre 1960 quando ormai, raggiunti i 25 anni, mori di vecchiaia a Merano in un box tappezzato con le foto del suo Sergente. Era diventato un beniamino di tanti bambini che gli scrivevano lettera da ogni parte d’Italia. “La malattia di Albino rappresentava per tutti una pena nella pena, quasi un accanimento della sorte. La povera bestia non dava segno di soffrire; anzi come si conveniva a un cavallo da guerra, teneva un atteggiamento dignitoso..” così racconta Lucio Lami nel libro “Isbuscenskji l’ultima carica” ed. Mursia. 

A fine agosto, durante le prove della festa del Reggimento fece un’ultima sgroppata. Sentito il suono della carica fu colto da un improvviso fremito piantando in asso in giovane cavaliere che lo cavalcava. 

Il giornalista senese Michele Taddei gli dedica pure un libro “Steppa Bianca. Memorie di Albini cavallo di guerra” edito da Cantagalli Editore. 

“Albino era un maremmano nato nel 1932 che, ancora puledro, era stato requisito dall’esercito per essere domato e poi arruolato nel glorioso Reggimento «Savoia Cavalleria» e inquadrato del 2° squadrone. Il Reggimento partecipò con l’Armir alla campagna di Russi, combattendo anche a Isbuscenskij nell’ansa del Don dove la carica degli squadroni è diventata leggendaria.

Il 24 agosto del 1942 il «Savoia Cavalleria» affrontò la ultima carica della storia delle cavalleria italiana : seicento uomini con i loro cavalli riuscirono a disperdere i duemila soldati dell’Armata Rossa. Albino fu ferito a un occhio e a una zampa; non venne abbattuto per rispetto verso il suo eroismo e fu fatto rientrare in Italia. Non più abile al servizio militare, fu ceduto ad un privato. Durante una fiera, alcuni anni dopo, fu riconosciuto da un sottufficiale del «Savoia Cavalleria» , perchè Albino era senza un occhio e aveva una lunga cicatrice sullo stinco destro. L’esercitò lo riacquistò e Albino divenne in breve il simbolo stesso dell’eroismo e del sacrificio del Reggimento e dell’intero esercito italiano e venne istintivamente definito «il cavallo d’Italia».

Il Ministero gli assegnò una pensione che gli consentì di essere mantenuto in una scuderia dell’esercito a Merano fino alla sua morte che avvenne il 21 ottobre del 1960. Aveva 28 anni. La carcassa di Albino fu imbalsamata e ha oggi un posto d’onore nell’androne principale del Reggimento «Savoia Cavalleria» che ha sede a Grosseto. Durante l’anno gli fanno visita le scolaresche e la sua storia viene raccontata come un bellissimo episodio di simbiosi tra Uomini ed animali “con le stellette”, coraggiosi e fedeli”. 


1960: ma quanto era bella Brigitte Bardot!

Dominique Marceau, interpretata da una giovane Brigitte Bardot , è una ragazza di provincia liberata e la pecora nera della famiglia. Si tr...